Immagine: San Tommaso d’Aquino, tratta da: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:San_tommaso_d%27aquino_con_la_summa,_angelico_san_marco.jpg
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Sebbene la nostra fede ci presenti un Dio lontano, fortunatamente i mistici di tutte le religioni la pensano in modo diverso. Tutti loro, infatti, sono giunti alla stessa conclusione: Dio è in noi e Lo troviamo attraverso l’esperienza mistica.
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La Chiesa ha i suoi mistici. Di seguito parleremo di alcuni di loro per mostrare quanto le tesi da essi sostenute giungano sempre, pur con varie sfaccettature che le differenziano, alla stessa conclusione: l’identificazione dell’anima con l’Assoluto.
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Teresa Neumann
Teresa Neumann, mistica cattolica tedesca, di cui oggi è in corso il processo di beatificazione, viveva solo dell’ostia consacrata presa al mattino durante la messa. Ne parla anche Paramahansa Yogananda nel suo libro Autobiografia di uno Yogi (Astrolabio).
Yogananda quando andò a trovarla in Baviera le chiese:
“Non mangiate mai nulla?” (…) “No, solo un’ostia consacrata, ogni mattina alle sei.”
“La prendo come sacramento; se non è consacrata, non mi riesce d’inghiottirla”. “Ma non è possibile che abbiate vissuto solo di questo per dodici anni!”. “Vivo della Luce di Dio!” (…) “Vedo che vi rendete conto che l’energia fluisce nel vostro corpo dall’etere, dal sole e dall’aria”. Un rapido sorriso le illuminò il volto. “Sono così felice che comprendiate come vivo!”.
“La vostra santa vita è una quotidiana dimostrazione della verità pronunciata dal Cristo: “Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che procede dalla bocca di Dio”[1]. Di nuovo manifestò gioia alla mia spiegazione. “È proprio così. Una delle ragioni per cui sono oggi sulla Terra, è appunto quella di dimostrare che l’uomo può vivere dell’invisibile luce di Dio, e non di cibo soltanto”. “Potete insegnare ad altri come si fa a vivere senza mangiare?” Sembrò un po’ urtata dalla mia domanda. “Non posso farlo. Dio non vuole!” Il mio sguardo cadde sulle sue mani forti e graziose. Teresa mi mostrò una ferita quadrata, appena rimarginata, sul dorso di ogni mano. Sulle palme m’indicò due ferite più piccole, a forma di mezzaluna, anch’esse appena chiuse. Ogni ferita trafiggeva la mano da una parte all’altra. Vedendo ciò, mi tornò distintamente alla memoria il ricordo dei grossi chiodi di ferro quadrato con punte a mezzaluna in uso ancor oggi in Oriente, ma che non ricordo di aver mai visti in Occidente”.
Tratto dal libro di Paramahansa Yogananda, Autobiografia di uno Yogi, Astrolabio
Leggendo poi la storia della vita di Teresa Neumann di Paola Giovetti, (Teresa Neumann, Una grande mistica del nostro tempo, San Paolo Edizioni), si viene a conoscenza che le stigmate e il digiuno sono durati trentasei anni.
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Teresa d’Avila
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Teresa d’Avila nacque a Castiglia nel 1515, all’epoca di Carlo V, ed essendo morta la madre quando lei era ancora giovanissima, andò a farsi suora, dopo di che restò quasi invalida a causa di una malattia. Teresa si mise a leggere dei libri spirituali del francescano De Osuna e cominciò a meditare.
Ella stessa nel Libro della mia vita, (Oscar Mondadori), spiega e racconta di aver avuto esperienza di visioni. Teresa intendeva riformare il Carmelo, nel senso di spirito di austerità, solitudine, povertà e soprattutto vita contemplativa.
I suoi confessori ritenevano diaboliche le sue visioni. Invece, un asceta di nome Fra Pietro d’Alcantara la consigliò e la confortò perché le credeva, mentre gli altri le mettevano paura che fosse il demonio.
Infatti, lei dice (a pag. 213 del libro menzionato) che ha passato molte tribolazioni per le contrarietà delle persone della comunità e anche del suo Ordine sul suo progetto della fondazione del primo monastero della riforma. Racconta che ha udito il Signore dirle: “Di che temi? Non sai che Io sono Onnipotente?” Io adempirò quello che ho promesso”. E infatti dice che poi tutto si è realizzato come previsto.
Spiega inoltre che il Signore l’avvisava di pericoli riguardanti lei o altre persone che si sarebbero verificati tre o quattro anni dopo e queste cose puntualmente si avveravano.
A pag. 215 del libro menzionato si legge che, quando fu proibita la lettura di molti libri in lingua volgare, che era il parlato, ed erano permessi quelli in latino, lei ne soffrì molto non potendo più leggere. Ma il Signore le parlò e le disse: “Non darti pena perché io ti darò un libro vivente”. Al momento, Teresa non comprese pienamente queste parole perché non aveva ancora avuto visioni. Dopo, quando ebbe visioni del Signore che la istruì con supreme verità, capì che non aveva più bisogno di libri.
Si sentiva del tutto trasformata ed era certa che questo non poteva essere opera del demonio.
Teresa racconta che le avevano tolto la comunione e proibita la solitudine, che erano il suo unico conforto. Non aveva nessuno con cui condividere le sue esperienze perché tutti le erano contrari e alcuni si burlavano di lei; certi addirittura consigliavano il confessore di guardarsi da lei e altri dicevano che era vittima del demonio, ma il Signore, anche in mezzo alla gente, la faceva entrare in raccoglimento, “…e, senza ch’io potessi evitarlo, mi diceva tutto quello che Gli piaceva, e dovevo ascoltarLo, mio malgrado”.
Spiega poi che soltanto il suo confessore cercava di consolarla, anche se era d’accordo con tutti gli altri e lo faceva soltanto per metterla alla prova, come successivamente venne a scoprire. Le diceva di pregare Dio che tutto finisse e che, anche se fosse stato il demonio, siccome lei non recava offesa al Signore, non poteva farle nulla e tutto sarebbe finito. Pregò molto e tutto ciò durò circa due anni.
E in questo tempo, come si legge a pag. 233, temeva di non trovare più nessuno che la confessasse e di questo si rammaricava.
A pag. 227 parla delle visioni di Cristo, e racconta in quale aspetto Lo vide un giorno che era la festa di San Paolo ed era a Messa. Le apparve “in quell’aspetto sotto il quale Lo si vuole rappresentare risuscitato, con quella gran bellezza e maestà di cui ho scritto. (…)”.
A pag. 220 spiega come l’Anima capisca ciò che le vien detto senza parole e dice:
“… l’anima si ritrova in un attimo sapiente, e vede con tanta chiarezza il mistero della Santissima Trinità e altri misteri molto elevati, che non c’è teologo con il quale non ardirebbe discutere la verità di queste altissime rivelazioni”.
Basta una sola esperienza di questo tipo per far sì che un’Anima non ami più nulla se non Dio.
Teresa parla dell’unione dell’Anima con Dio e dice:
“Come avvenga questo fatto che si chiama unione e che cosa sia io non so spiegarlo. Se ne parla nella teologia mistica, ma io non ne conosco i termini e neanche so intendere che cosa sia la mente né in che differisca dall’anima o dallo spirito. Mi sembra che sia tutt’uno, anche se l’anima talvolta esce di se stessa a guisa di un fuoco che, ardendo, sprigiona fiamme, e talvolta aumenta con impeto; la fiamma sale, così molto più in alto del fuoco, ma non per questo è di diversa natura essendo la stessa fiamma che sta nel fuoco. (…)
Ciò che io intendo spiegare è quello che l’anima prova quando sta in questa divina unione. Si sa ormai che cosa sia unione: due cose distinte unite in uno. Oh, mio Signore quanto siete buono! Siate per sempre Benedetto! (…)”
Poi parla delle estasi e a pag. 177 dice:
“In queste estasi si hanno vere rivelazioni, straordinarie grazie e visioni, e tutto serve a rendere l’anima umile, a fortificarla, a farle disprezzare le cose di questa vita e a conoscere meglio l’eccellenza del premio che il Signore tiene preparato per coloro che Lo servono”.
Afferma inoltre:
“Sua Maestà dimostrandomi grande amore, ecco quali parole mi dice spesso: “Ormai sei Mia e Io sono tuo”. Quello che io sono solita ripeterGli e, a mio giudizio, le dico con sincerità, sono le seguenti: “Che importa Signore di me? Mi importa solo di Voi”. Mi comunicai, ascoltai la Messa e non so come potei ascoltarla. Mi parve che la visione fosse durata pochissimo tempo, fu grande la mia meraviglia quando al battere dell’orologio mi accorsi d’esser rimasta due ore in quel rapimento e in quella gloria. Ero poi stupita dal fatto che, avvicinandosi questo fuoco di vero amore di Dio, che sembrava venire dall’alto (infatti per quanto lo desideri, lo cerchi e mi consumi per vederlo, se non è per volere di Dio, come ho detto altre volte, non posso far nulla per ottenere nemmeno una scintilla) per quasi ch’esso estingua nel vecchio uomo i difetti, la tiepidezza e le miserie, e al modo della fenice che – a quanto ho letto – rinasce diversa dalla stessa cenere dopo che il fuoco l’ha bruciata, così si trasforma l’anima in questo fuoco uscendone con nuovi desideri e con gran forza. (…)
Mentre pregavo Sua Maestà che fosse così anche per me e che potessi ritornare a servirLo con nuovo ardore mi disse: “hai fatto un bel paragone; bada di non dimenticarlo; per cercare di migliorarti sempre più”.
È molto evidente che era Dio che si manifestava a Teresa e che le procurava queste meravigliose esperienze, ma i dotti sacerdoti non le vollero credere e addirittura dicevano che era il diavolo e non volevano neanche confessarla.
Tratto da Libro della mia vita, (Oscar Mondadori)
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San Tommaso d’Aquino: conoscere Dio tramite l’esperienza mistica
La vera Conoscenza di Dio non viene dai libri ma dall’esperienza mistica.
Al riguardo trovo adeguato il racconto dell’afasia di San Tommaso d’Aquino (sec. XIII).
“Ebbe un cambiamento meraviglioso” leggiamo nella cronaca di questo avvenimento conservata negli Acta Bollandiana, basato sulle parole del suo più intimo confidente, Reginaldo di Piperno.
San Tommaso aveva scritto: “Conosciamo veramente Dio solo quando pensiamo che è al di sopra di tutto ciò che l’uomo può pensare di Dio”, aveva tentato tutta la vita di conciliare razionalità e fede. Ma un mattino, dicendo Messa nella cappella di San Nicola a Napoli sperimentò una sorta di raptus mentis.
Dopo quella Messa non scrisse e non dettò più niente, smettendo di scrivere nella terza parte della Summa, al trattato sulla penitenza.
“E quando Fra Reginaldo vide che Fra Tommaso aveva smesso di scrivere gli disse: “Padre, perché avete messo da parte un così grande lavoro, che avete incominciato a lode di Dio e per l’illuminazione del mondo?” Fra Tommaso replicò: “Non posso più andare avanti”.
Fra Reginaldo, temendo che fosse impazzito per il troppo studio, insisté perché andasse avanti. Al che Fra Tommaso rispose ancora: “Non posso farlo, Reginaldo, perché tutto ciò che ho scritto mi sembra privo di valore come paglia”.
“Allora Fra Reginaldo, stupito fece in modo che Fra Tommaso andasse a trovare la sorella, la contessa di San Severino, cui era molto legato; Egli si recò da lei con grande difficoltà e quando arrivò e la contessa gli andò incontro, faceva fatica a parlare. Perciò la sorella, in uno stato di grande ansia, disse a Fra Reginaldo: “Che cosa succede? Perché mio fratello Tommaso è in stato di stupore e fa fatica a parlarmi?”
E Fra Reginaldo rispose. “È in questo stato dal giorno di San Nicola e da allora non ha più scritto niente”.
Quindi incominciò a chiedere insistentemente a Fra Tommaso di dirgli per quale ragione si rifiutasse di scrivere e perché fosse così stupefatto. E dopo molte insistenze Tommaso rispose: “Giurami su Dio Onnipotente, sul nostro Ordine e sull’amore che hai per me che, finché sarò vivo, non racconterai a nessuno ciò che ti dirò”. E proseguì: “Tutto ciò che ho scritto mi sembra privo di valore al confronto delle cose che ho visto e che mi sono state rivelate”.
Non ricordo da dove ho copiato questo racconto; sicuramente da un libro preso a prestito in biblioteca di cui non ho annotato il titolo. A quel tempo non avevo idea che avrei scritto libri o un blog, quindi chiedo scusa per non poter citare la fonte.
Quanto narrato sopra ci fa capire che c’è stato un risveglio che porta alla vera Conoscenza, che serve molto di più di quella dei libri.
Fra Tommaso non voleva che si sapesse, quindi chi non vuole che si sappia potrà seguire le sue orme.
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Sant’Agostino
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A differenza di Fra Tommaso, Sant’Agostino esprime ciò che sente quando dice:
“Tardi Ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova.
Tardi Ti ho amato! Tu eri dentro di me e io stavo fuori.
Ti cercavo qui, gettandomi deforme sulla bellezza delle Tue creature.
Tu eri con me ma io non ero con Te.
Tu mi hai chiamato, il Tuo grido ha vinto la mia sordità.
Hai brillato e la Tua Luce ha vinto la mia cecità.
Hai diffuso il Tuo profumo e io l’ho respirato e ora anelo a Te.
Ti ho gustato e ora ho fame di Te.
Mi hai toccato e ora ardo dal desiderio della Tua Pace”.
Tratto dalle Confessioni di Sant’Agostino
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L’esperienza mistica è sempre esistita dai tempi antichi ed è stata sperimentata in vari modi. Per esempio Blaise Pascal (1623 – 62) matematico, fisico e filosofo francese, il 23 novembre 1654 ebbe un’esperienza mistica, che egli stesso descrive su un foglio cucito nei suoi vestiti (che venne denominato il Memoriale). Pur essendo uno scienziato, era sicuro che il misticismo avesse in sé la chiave dei segreti dell’Universo.
L’esperienza mistica di quella notte che lui chiama “nuit de feu”, notte di fuoco, viene descritta così:
“Dalle dieci e mezzo di sera circa (fino a) quasi mezzanotte e mezza
Fuoco.
Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, non (il Dio) dei filosofi e studiosi.
Certezza, gioia, emozione, visione, gioia…
Dimentico del mondo e di ogni cosa tranne che di Dio…
Questa è la vita eterna”.
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Come pure Meister Eckhart parla dell’unione mistica dell’anima con Dio.
E dice che proprio come il pane viene mutato nel corpo di Cristo, così l’anima viene mutata in Dio in modo tale che non c’è differenza tra lei e Dio:
“Dio ed io siamo una cosa sola. Per mezzo della conoscenza io assumo Dio in
me stesso; con l’Amore io entro in Dio”.
“Proprio come il fuoco cambia il legno in fuoco; così noi siamo trasformati in
Dio”.
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Ora parliamo di S. Giovanni della Croce.
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Giovanni della Croce fu un mistico Carmelitano; visse nella stessa epoca di Teresa d’Avila. Nacque il 24 giugno 1542 nel villaggio castigliano di Fonteveros.
Quando suo padre morì, sua madre che era giovanissima, lavorava per dar da mangiare ai tre figli.
Faceva la tessitrice e non appena fu possibile insegnò a tessere al più grandicello dei bambini.
Poi anche Giovanni cominciò a lavorare, faceva il sarto, il falegname, lo scultore in legno, il pittore, ma nessuno di questi gli riusciva, perché Giovanni sentiva la vocazione del contemplativo. A causa della carestia, la famiglia si trasferì a Medina del Campo dove c’era più possibilità di lavoro e Giovanni frequentava i Fanciulli della Dottrina e raccoglieva le elemosine per i bambini poveri.
Prestava aiuto anche nell’Ospedale della Concezione nel reparto pustole.
A ventun anni poteva terminare gli studi, e diventare cappellano dell’Ospedale, come avrebbe voluto Don Alfonso, invece seguì la vocazione di diventare monaco carmelitano.
Giovanni aderì alla riforma Carmelitana e questo gli costò grandi sofferenze e incomprensioni. L’episodio peggiore fu quando nel 1577, per una ingiusta accusa, fu fatto prigioniero nel convento dei Carmelitani dell’Antica Osservanza di Toledo. Venne tenuto richiuso per nove mesi in un ripostiglio lungo e largo pochi piedi, buio e senz’aria. C’era caldo e fetore, le vesti gli marcivano addosso, aveva le piaghe e soffriva le pene dell’inferno tra dissenteria e febbri.
Ma è qui che Dio allevia le sue pene rivelandosi a lui.
Ne Il grande libro dei ritratti di Santi. Dall’antichità ai giorni nostri, di Antonio Maria Sicari, (già e non ancora, Jaca Book), riguardo a Giovanni della Croce leggiamo:
“Ma ecco intanto accadere il miracolo, il rivelarsi della vocazione propria e personalissima di Giovanni della Croce: la decisione con cui Dio affida nelle sue mani, per la Chiesa del suo tempo, un commento vivo al Cantico dei Cantici.
Nel profondo dell’abisso, nel buio terribile che l’avvolge anche fisicamente, nel centro oscuro della notte, dal cuore di Giovanni della Croce nascono le più calde e luminose poesie d’amore costruite con materiale biblico, ma anche secondo lo stile e le forme in uso al suo tempo.
Egli le compone a memoria e crea un mondo incredibile di immagini, simboli, sentimenti, un mondo dove la bellezza si fa grido dell’anima che cerca Cristo come la Sposa cerca il suo Sposo e si fa attrazione inesorabile di Dio che in Cristo cerca la sua creatura.
(…)
Nella notte del suo carcere, lungo quei terribili mesi, Giovanni inizia così il suo cammino nel mondo biblico della Rivelazione di Dio, come se Dio lo avesse lì trasportato per grazia e reso protagonista”.
(Pag. 227 e 228 del libro citato)
Quando riuscì a scappare dalla stanzetta in cui era tenuto prigioniero, era già ridotto allo stremo delle sue forze. Fu allora che chiese aiuto al convento delle Carmelitane.
E raccontò alla superiora che non era affatto dispiaciuto di essere stato imprigionato; visto che lì dentro il Signore gli aveva dato una gioia mai provata.
Si era elevato spiritualmente e si sentiva avvolto dall’Amore Divino.
“Intanto, da alcuni anni, Giovanni della Croce ha tra le mani l’ultima sua opera, la Fiamma viva d’Amore, a cui dà gli ultimi ritocchi, proprio negli ultimi mesi di vita.
L’amore che lega Dio alla creatura e la creatura a Dio non è più un cammino, non è più una ricerca ansiosa, ma un possesso totale e ardente: è lo stesso Spirito Santo che si unisce all’anima e arde con lei finché ambedue sembrano divenuti un’unica e indistinguibile Fiamma”.
(Pag. 78 del libro citato)
L’opera Fiamma viva d’Amore, redatta due volte, nella prima stesura termina bruscamente così:
“… Lo Spirito Santo riempie l’anima di bontà e di gloria, innamorandola così di Sé,
immergendola nelle profondità di Dio più di quanto si possa dire o sentire. Perciò smetto qui”.
(Pag. 233 del libro citato)
È evidente che Giovanni preferì troncare il discorso pensando che non lo avrebbero capito. Pensava di poter essere frainteso perché già un giorno gli avevano dato dell’immorale.
Quando si ammalò a 49 anni, il giorno 13 dicembre del 1591 Giovanni era convinto che all’alba seguente sarebbe andato a cantare in cielo. I religiosi al suo capezzale cominciarono a cantare il De profundis e dopo le preghiere per gli agonizzanti.
“Giovanni le interrompe. Dice: “Non ho bisogno di questo, Padre mi legga qualcosa del Cantico dei Cantici”. E mentre quei versetti d’amore risuonano nella cella del morente, Giovanni sembra incantato e sospira: “Che perle preziose”.
(Pag. 237 del libro citato)
Così passò all’altra vita. Le persone presenti dissero che videro una Luce e sentirono un intenso profumo che riempì la sua stanza.
San Giovanni della Croce scrisse quattro opere: Salita al monte Carmelo. Notte oscura. Il Cantico spirituale. Fiamma viva d’Amore.
Questi testi corrispondono ciascuno a quattro fasi del cammino spirituale dell’anima.
La Salita al monte Carmelo racconta i primi passi dell’Anima che si deve distaccare dalle cose insignificanti della vita.
La Notte oscura vuol dire la purificazione della mente e delle azioni per far fronte alle difficoltà che si presentano nel cammino per realizzare il Signore.
Il Cantico riguarda lo slancio dell’Anima verso Dio, che Lo ha sempre cercato e non l’ha mai trovato.
L’Anima sente la presenza divina e vuole unirsi a Dio per sentire la Sua beatitudine. Il desiderio dell’Anima di tornare all’Unità si realizza.
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San Bernardo scrive:
“Come una piccola goccia d’acqua mescolata a molto vino, sembra scomparire del tutto, perché assume il sapore e il colore del vino, e come un ferro rovente e incandescente diviene molto simile al fuoco e perde il suo aspetto originario, e come l’aria inondata dalla luce del sole, si trasforma nella stessa luminosità della luce, a tal punto non sembra più illuminata ma appare essa stessa luce, così è necessario che nei santi ogni affezione umana si liquefi, in qualche ineffabile modo, in se stessa, e che si trasformi totalmente nella volontà di Dio. Altrimenti come potrebbe avvenire che Dio sarà tutto in tutte le cose, se nell’uomo restasse qualcosa dell’uomo? Rimarrà certamente la sua sostanza, ma sotto un’altra forma, sotto un’altra gloria, sotto un’altra potenza”.
Dal Trattato sull’Amore di Dio di San Bernardo, abate
[1] Matteo, 4, 4