(Fotografia scattata da mia figlia dal finestrino dell’aereo in volo)
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Dopo poco tempo dall’inizio del mio cammino spirituale, la meditazione divenne per me necessaria più del pane.
Inizialmente i pensieri affollavano la mente ed era facile stancarsi. Non riuscivo facilmente a disciplinare questa mente che vagava da un pensiero all’altro. Posso fare un paragone fra la mente e un bambino che sta passeggiando con la mamma. Quando meno te lo aspetti lascia la sua mano per correre dietro a una farfalla o a un gattino. Almeno così faceva mia figlia da piccola. Tenevo sempre stretta la sua mano, ma trovava sempre il momento propizio per scappare. Così è la mente. La indirizzi da una parte ma subito scappa dall’altra.
S. Giovanni Climaco scrive a questo riguardo: “Cerca di contenere o, più esattamente, di racchiudere il tuo pensiero nelle parole della preghiera. Se a causa della sua immaturità, esso si annoia e si mette a vagare riportalo di nuovo dentro.”
Dopo un po’ di tempo, grazie al costante esercizio e al fermo proponimento, riuscivo senza problemi ad allontanare i pensieri che distolgono e a rimanere concentrata. E nella preghiera che scaturisce dal cuore e non prefabbricata cominciavo a sentire una gioia fuori dal normale.
Inizialmente praticavo la meditazione la mattina e la sera, ma poi non mi bastava più e aggiunsi così un’ora della notte. Ora il problema era svegliarsi, non volevo puntare la sveglia altrimenti si svegliavano anche mio marito e mia figlia. E così arrivò l’aiuto: la prima notte sentii qualcuno alitare sul mio viso e perciò mi svegliai per meditare. La seconda notte sentii la voce di mio fratello Pantaleo, ormai defunto da dieci anni, lo ringraziai, lui mi chiamava Annì (Annina, nel nostro dialetto bitontino). La terza notte sentii bussare alla porta ma non sapevo chi fosse, comunque lo ringraziai lo stesso. La quarta notte fu bello perché sentii la voce di mia madre, lei in vita mi chiamava Annina e così la sentii quella notte. E in ultimo mi chiamò il mio gatto, mi spaventai a sentirlo miagolare così forte che di scatto mi alzai a sedere sul letto e mi dissi: “Come ho fatto a dimenticare di chiuderlo in lavanderia?” Perché di solito la sera, dopo cena, lo portavo giù nel locale lavanderia della taverna che è grande e c’è una finestra e lo chiudevo dentro per la notte. Gli feci un lettino in una cassetta per la frutta con la sua copertina e sotto misi un maglione vecchio. Giacché gli ero molto affezionata, stavo lì ad accarezzarlo prima di chiudere la porta. E appena sveglia pensai che fosse venuto su. Ma subito dopo pensai: “Ma che dimenticanza, lui è già un anno che non c’è più”, difatti l’anno prima una macchina l’aveva travolto, poverino. Però ora era venuto anche lui a svegliarmi e ringraziai l’anima del gatto.
Ecco con quest’ultimo erano passate cinque notti e da lì in poi presi l’abitudine e mi svegliavo da sola. E immancabilmente meditavo e cercavo di perfezionare sempre di più la mia meditazione.
Nel libro di Yogananda intitolato L’Eterna Ricerca dell’Uomo, Astrolabio – Ubaldini Editore, sono raccolte tutte le conferenze che Egli faceva in America, dove fu mandato dal suo Maestro per insegnare in Occidente le tecniche scientifiche del Kriya Yoga[1]. In quelle conferenze spiegava tante cose da me mai sentite e parlava della meditazione profonda. La Chiesa ha insegnato e insegna che Dio è irraggiungibile, e invece Lui diceva che Lo possiamo trovare se ci mettiamo con tutta la nostra buona volontà. Con impegno e costanza, il risultato arriva.
Trascrivo un brano del libro sopra citato (pag. 36):
“La meditazione fa lo yoghi
Per trovare Dio, si deve meditare ogni mattina e ogni sera, e ogni qualvolta si trovi un po’ di tempo libero durante il giorno.
In più, è importante meditare per sei ore un giorno alla settimana. Questo non è irragionevole; alcuni si esercitano al pianoforte per dieci ore, ogni giorno della settimana, e ciò non sembra loro una cosa straordinaria. Per diventare un Maestro spirituale, è necessario dare più tempo a Dio. Dobbiamo farGli sentire che Lo amiamo più di qualsiasi altra cosa. Quando sarete esperti nella meditazione, capaci di inoltrarvi profondamente nella supercoscienza, cinque ore di sonno vi basteranno. Il resto della notte dovrebbe essere usato per la meditazione. Si possono impiegare le notti, le ore mattutine e le feste per meditare su Dio. In questo modo chiunque, anche l’indaffarato Occidentale, può essere uno yoghi. Perciò, diventate uno yoghi occidentale. Non avete bisogno di portare un turbante o capelli lunghi come me!
Noi abbiamo bisogno di chiese che siano alveari spirituali, ma abbiamo anche bisogno di riempire queste chiese col “miele” della nostra propria realizzazione del Sé[2]. Dio è presente anche nelle chiese, naturalmente; ma solo il fatto di andarvi non Lo persuaderà a rivelarSi. Andare in chiesa è bene, ma la meditazione quotidiana è meglio ancora. Fate entrambe le cose, perché senza dubbio trarrete ispirazione andando in chiesa, e dalla quotidiana meditazione riceverete un’elevazione anche maggiore. È quando un devoto ha il cuore ardente e lancia un proiettile di preghiera dopo l’altro che Dio gli si arrende. Questa devozione incessante è essenziale per poterLo trovare.
Per essere uno yoghi e, nello stesso tempo, tenere il passo col mondo moderno, è necessario meditare a casa propria, disciplinarsi e svolgere tutti i doveri con l’atteggiamento interiore di chi rende un servizio a Dio.
Il mio più grande desiderio è quello di erigere templi di Dio nelle anime degli uomini; di vedere il sorriso di Dio sui volti degli uomini. Il raggiungimento più importante di tutti, nella vita, è quello di erigere un tempio di Dio nella propria anima. E ciò si può fare facilmente. La Self Realization Fellowship[3] è stata mandata all’Occidente per questo.
Chiunque abbia reso Dio sovrano nel tempio della propria anima è uno yoghi. Egli sarà d’accordo con me nel dire che lo Yoga è fatto per l’Oriente, per il Nord, il Sud e l’Ovest, per tutte le genti, così che passate per le viuzze della teologia, esse possano imboccare la superstrada dello Yoga. La vera via porta al palazzo della beatitudine di Dio. Colui che arriverà, “non andrà mai più fuori”[4] ”.
Tratto da L’Eterna Ricerca dell’Uomo, Astrolabio, pag. 36
Questa è una delle tante spiegazioni e inviti meravigliosi. Un invito che io ho trovato molto allettante. Mi sono allora buttata a capofitto. Non volevo perdere un minuto in più. Ero fuori di me. Volevo arrivare subito. Ma c’era tanta strada da fare prima.
Difatti, in una meditazione, una volta mi sono vista così: mi trovavo sola in una strada molto lunga, quasi non si vedeva la fine. In fondo alla via vedevo una Luce, una grande Luce; ho capito e mi venne spontaneo di dire: “Oh! Signore come sei lontano, come farò ad arrivare?” E subito intuii la risposta. “Non temere, non sarai sola.”
[1] Si spiega cos’è il Kriya Yoga nel libro Autobiografia di uno Yogi di Paramahansa Yogananda, Astrolabio, al capitolo XXVI intitolato “La Scienza del Kriya Yoga”, pag. 225. Si legge: “Il Kriya Yoga è un metodo semplice, psicofisico mediante il quale il sangue umano viene purificato dell’anidride carbonica e risaturato di ossigeno. Gli atomi di questo ossigeno in sovrappiù si tramutano in correnti di vita per ringiovanire il cervello e i centri spinali. Fermando l’accumularsi del sangue venoso, lo yoghi può diminuire o interrompere il logorio dei tessuti; uno yoghi molto progredito tramuta le sue cellule in pura energia. Elia, Gesù, Kabir, e altri profeti antichi furono maestri nell’usare il Kriya o una tecnica simile, mediante la quale riuscivano a smaterializzare i loro corpi a volontà.”
[2] Nota del libro: Realizzazione del Sé (o autorealizzazione), è conoscere il Sé come l’anima e conoscere che l’anima è tutt’uno con Dio.
[3] La Self-Realization Fellowship è un’organizzazione religiosa internazionale fondata da Paramahansa Yogananda nel 1920 con lo scopo di diffondere gli insegnamenti del Kriya Yoga. (Per il significato di Kriya Yoga si veda la nota [1]).
[4] Nota del libro: Apocalisse, 3, 12.