Dopo aver letto un libro riguardante il più grande Maestro spirituale dei nostri tempi ed essermi innamorata dei Suoi insegnamenti e delle Sue opere di bene, decisi di andare in India insieme a mia figlia per incontrarLo.
* * *
Partimmo
con un gruppo di devoti italiani il 17 luglio 2002. Dopo il lungo viaggio
aereo, con i taxi arrivammo a Puttaparthi, villaggio situato nel distretto di Anantapur, nello stato dell’Andhra Pradesh dove si
trova l’Ashram[1] principale di Sai Baba, chiamato
Prasanthi
Nilayam (Dimora di Pace).
L’Ashram è circondato da mura di cinta, cancelli e porte, ed è esclusivamente per i pellegrini che vengono per Sai Baba. Appena si entra, si vedono tutt’intorno palazzine una accanto all’altra con le camere per i pellegrini. Ogni palazzina ha centoquattro camere per piano e i piani sono quattro. Inoltre ci sono negozi che vendono frutta, pane, torte e gelati. Anche un grande supermercato in cui si trova di tutto: sari (abbigliamento) e tutto ciò che può servire, proprio come i nostri supermercati. C’è la posta, la banca, le mense, una europea e l’altra indiana. Ci sono i telefoni pubblici. E poi al centro c’è il Mandir (Tempio), che è molto grande, mai visto uno così. Può contenere all’incirca venti o venticinquemila persone. Non è chiuso come le nostre chiese, ma aperto, con muri di cinta fino ad altezza d’uomo e poi con ringhiere e cancelli. I cancelli d’entrata sono otto; quattro per le donne e quattro per gli uomini, perché si entra separati. La casa di Sai Baba è a fianco al Mandir. Egli, quando esce da casa Sua, con pochi passi è già al cancello principale d’entrata. A due passi dalla Sua abitazione, che si può vedere solo a distanza, è piantonata la polizia, sempre presente a Prasanthi Nilayam; hanno fissato una tenda e dormono lì. Tanto fa sempre caldo e non c’è problema. Anche su un tetto ho visto una sera un poliziotto piantonato. Tutto ciò per protezione da eventuali malintenzionati. A vedersi, la casa di Baba sembra grande, ma a sentir da chi ci è entrato, Baba occupa solo una stanzetta, un appartamentino, il resto è adibita per ricevere autorità, per la direzione ecc. E quando si passa sulla strada adiacente la casa di Sai Baba, si vedono cartelli che invitano al silenzio; ci sono anche i Seva[2] (uomini e donne addetti alla vigilanza). Vicino alla nostra palazzina c’era un grande prato dove, in occasione di feste religiose, si raggruppavano i pellegrini provenienti da paesi vicini: venivano tirate su baracche e tavoli, depositi di pentoloni di cibo e acqua. E poi c’era anche una bancarella fissa che vendeva l’acqua di cocco. Io e Debora siamo andate lì a berlo. Fanno un foro nel cocco dove mettere la cannuccia. Finito di bere, si portava indietro il cocco e lo tagliavano a pezzi per far sì che si potesse mangiare anche la polpa.
Dato che la gente che arrivava tutti i giorni era moltissima, hanno deciso che non si poteva alloggiare a Prasanthi Nilayam più di un mese. Altrimenti non ci sarebbe stato posto per i nuovi arrivati.
Talvolta la gente era talmente tanta, fra quelli che alloggiavano nell’Ashram e quelli che, scaduto il mese, trovavano da dormire fuori, che alcuni non riuscivano a entrare nel Mandir. Pertanto posizionavano grandi schermi e altoparlanti fuori dal tempio in modo che tutti potessero seguire le celebrazioni.
Ora, aiutandomi con mio il diario di viaggio, vi racconto il nostro soggiorno a Prasanthi Nilayam.
“Ci alziamo di buon ora, (alle quattro del mattino), e ci prepariamo per andare al Mandir (Tempio). Ci sono dieci minuti di strada. Da ogni via escono gruppi di donne con sari dai colori vistosi: giallo, azzurro, bianco, rosa, verde, rosso; davvero belli da vedere. Mentre gli uomini sono tutti di bianco vestiti; impeccabili, puliti e con gli abiti stirati. Quando si arriva in prossimità del Tempio, gli uomini si avviano da una parte e le donne dall’altra. Si entra da cancelli separati. Ci si tolgono i sandali ancor prima di arrivare e si prosegue scalzi. Per le strade si incontrano file di donne a due a due. Una volta le ho contate, erano cinquanta per due che fa cento donne, tutte in ordine e silenzio. Ci sono anche le donne Seva, che prestano il servizio di organizzazione. Sulla veranda adiacente al Tempio, le Seva mettono ordine alle file mentre le persone attendono vicino ai cancelli ancora chiusi. Aprono alle cinque di mattina.
Ora siamo proprio davanti al cancello di entrata; e una per volta passiamo tra due donne Seva che controllano. Una guarda nel borsellino piccolo, se è grande non lasciano passare. Controllano anche il cuscino per sedersi come pure la sediolina di stoffa. Tutto ciò per paura di eventuali pazzi che vanno lì per fare disordine. Ci fanno passare ed entriamo nel Tempio. È il primo giorno; solo ad entrare in questo Tempio maestoso, mi sento onorata. C’è una pulizia, un decoro e un silenzio eccezionali, sebbene gremito di gente. Tutto questo mi affascina. Anche dentro ci sono numerose donne Seva a guidarci per andare a sedere. In questo Tempio ci si sente veramente in un posto Sacro. Siamo sedute una accanto all’altra in file ordinate e in silenzio, composte e con dovuto rispetto, e aspettiamo l’arrivo di Sai Baba. Le donne stanno a destra e gli uomini a sinistra. In mezzo c’è il passaggio”.
La prima settimana io, Debora e tre ragazze in viaggio con noi, accettammo di andare ad aiutare il gruppo italiano che aveva preso in carico la gestione della mensa. Il primo giorno andammo alla riunione del gruppo per decidere i turni di ognuno. Il primo turno era dalle tre di mattina alle quattro. Il secondo dalle dieci alle undici, e l’altro il pomeriggio. Scegliemmo il primo per essere libere durante il giorno. Il lavoro consisteva nell’aiuto per la preparazione del pranzo: pelare le patate, lavare la frutta e l’insalata, tagliare i pomodori ecc. Dato che aiutavamo il gruppo mensa, avevamo il privilegio di avere sempre lo stesso posto nel Tempio la mattina ed eravamo esonerate dal fare la fila. Questo perché, lavorando, non saremmo potute arrivare in tempo per metterci in coda.
Il volontariato in mensa durò una settimana. Dopo, infatti, io pensai di saltare un giorno per riposarmi. Ma non fui la sola; e poi il nostro gruppetto decise di distaccarsi definitivamente. In quel modo, però, perdemmo il privilegio. Così, per entrare nel Tempio la mattina presto, quando Baba dava il Suo Darshan[3], si andava, come tutti gli altri devoti, a fare la fila sulla veranda, seduti ad aspettare l’ora di apertura. Tutto questo prima delle cinque del mattino, ora in cui aprivano i cancelli. Passava la Seva con un sacchetto di numeri, e la donna che era in testa alla fila ne estraeva uno (come la tombola) per lei e per tutta la sua fila. Poteva essere il numero 1, 2, 3 o di più. Se si era fortunati capitava il numero 1 e si andava a sedere in prima fila, più vicino all’altare, se si era meno fortunati capitava il numero corrispondente alle ultime file. Solo il penultimo giorno, è capitato che la nostra fila abbia estratto il numero 1, ma le altre volte abbiamo preso il numero 16, il 15, l’8, il 4 e così via. La mattina che avevamo l’1 eravamo finalmente in prima fila. Quando ci vide, una donna che ci conosceva disse: “Che onore stare in prima fila.” Sì perché chi non andava la mattina presto e non era fortunato col numero, Baba Lo vedeva molto da lontano, perché il Tempio è lungo e largo e con tante persone davanti Lo si poteva solo intravedere. Una volta andai da sola. Le ragazze non erano venute e mi trovai in seconda fila.
Il 23 luglio si celebrava il Guru Purnima, (festa del Maestro spirituale) e per l’occasione erano arrivati moltissimi pellegrini da tutto il mondo. Era una cosa incredibile: alle quattro di mattina le strade erano stracolme di gente che si recava al Mandir. Ben presto restammo bloccate da donne accovacciate per terra in fila ad aspettare che aprissero i cancelli. Erano le quattro e mezza di mattina ed erano sedute per terra in strada molto lontano dalla veranda e dal Tempio. Nonostante ciò, riuscimmo per le sei ad arrivare al Mandir. Un numero enorme di persone non riuscì ad entrare, ma seguirono la festa tramite gli altoparlanti. Appena entrato, Baba fece un piccolo giro e poi salì sull’enorme altare che può contenere tutti gli studenti e le studentesse del Suo College. I ragazzi del College sono sempre in ordine, impeccabili, vestiti di bianco, da quelli delle elementari fino agli universitari. Le bambine piccole hanno i vestiti bianchi, mentre le ragazze più grandi hanno i sari, tutti bianchi. Quando Baba salì i tre gradini dell’altare fu accompagnato da uno scroscio di applausi. E i musicisti, che erano fuori dal Mandir, incominciarono a suonare la loro musica indiana religiosa. Con gli altoparlanti si sentiva come se fossero dentro. Ci fu uno spettacolo di bambini; ognuno rappresentava la sua nazione con vestiti d’epoca. L’Italia era rappresentata da una bambina vestita alla contadinella. Questo spettacolo durò fino alle 8,30. C’erano anche tutti i delegati Seva venuti da vari paesi del mondo. Nel Tempio stracolmo di persone, per facilitare la visione installarono moltissimi schermi ad ogni colonna in modo che tutti, fino in fondo al Tempio, potessero vedere sia Baba, sia lo spettacolo. Era molto commovente constatare che, sebbene ci fosse tutta questa gente, da tutto il mondo, regnassero sempre ordine e silenzio. Appena vedevano uscire Baba dalla Sua casa, che è molto vicina al Mandir, mettevano una dolce musica di sottofondo per avvisare la gente che stava arrivando. Allora il silenzio si faceva ancora più rispettoso, non si sentiva fiatare. Appena si intravedeva Baba che entrava, tutti erano lì a mani giunte e con le lacrime agli occhi. Non so come mai ma non si riusciva a fermarle queste lacrime, scendevano senza volerlo. Dopo che faceva il Suo giro, si fermava a parlare con qualcuno oppure creava la Vibhuti (cenere sacra) e la dava a qualche devoto o anche benediceva toccando il capo delle persone. Questi gesti mettevano tanta tenerezza quindi si piangeva.
Solo a guardarLo ci si sentiva così piccoli e insignificanti, e stando al Suo cospetto, si sentiva una carica d’amore, di energia e di gioia incredibili e si piangeva ancora.
Si legge nel libro La potenza del pensiero, di Swami Sivananda[4]:
“Noi percepiamo come un’aura magnetica emanata dalla mente di persone che hanno una potenza di pensiero altamente sviluppata. Non è possibile descrivere ciò che si prova innanzi ad un maestro od un iniziato di alto livello. Solo la sua muta presenza ci trasfonde ineffabili sensazioni ed ispirazioni”.
Questo ho provato io dinanzi a Sai Baba! Non appena Lo vedevo entrare nel Mandir sentivo una grande emozione e quando passava davanti al nostro gruppo mi scendevano lacrime di commozione e anche per gli altri era la stessa cosa.
Il giorno del Guru Purnima, dopo essere entrato, andò sederSi sulla Sua sedia di fronte a tutta l’assemblea. Un gruppo di uomini cantò un Mantra (preghiera) e anche il Sacro OM. Egli si alzò e andò al microfono per fare il Discorso. Parlava nella Sua lingua: il Telegu, mentre il traduttore traduceva simultaneamente in inglese. Dopo il lungo Discorso, intonò alcuni Bhajan e tutti noi cantavamo con Lui. Ogni persona di ciascun gruppo aveva il suo foulard sulle spalle con scritta la nazione di appartenenza. Per esempio, foulard con scritto U.S.A., Indonesia, Spagna, Svizzera, Equador, Brasile, Canada, Arizona, Messico, Singapore, Germania, Inghilterra, Kenya, Russia, Slovenia, Arabia, Buffalo (stato dell’America) ecc. ecc. Per noi italiani il foulard era di colore blu e in basso c’era scritto in grande “Italia”. I paesi che ho elencato sono la minima parte, perché ce n’erano ancora altri che non ho avuto modo di annotare sul mio quaderno degli appunti e quindi li ho dimenticati. Io nel borsellino portavo un fazzoletto, la chiave di casa, la penna e un quaderno dove prendevo appunti. Ma se non scrivevo subito, poi me ne dimenticavo. Baba fece un altro Discorso fino alle 8.47, dopo intonò un altro canto e poi andò al Tempietto che c’è sull’altare. Tra un Discorso e l’altro fece distribuire a tutta la gente nel Mandir dalle donne e dagli uomini Seva un prasadam per ciascuno, cioè un dolce benedetto da Lui. Con le scatole grosse di cartone piene di dolci passavano tra le file e li distribuivano. Faceva sempre così per le feste perché sapeva che la gente era in giro dalle 4 di mattina fino alle 9. Difatti erano le 9 meno 10 quando Egli attraversò il Tempio per uscire dal cancello e avviarsi a casa Sua. Noi avremmo voluto uscire subito, ma non ce l’abbiamo fatta, c’era una tale moltitudine di persone che ho preferito aspettare un po’. Abbiamo notato, però, che Lui, vedendo che le strade adiacenti al Tempio erano stracolme di persone accovacciate una vicina all’altra, andò in casa per uscire poi dal balcone e benedire tutta quella marea di gente che cantava. È stata una cosa molto molto commovente, mai vista in vita mia.
Dopo che siamo uscite dal Mandir, ci siamo messe in fila per far colazione in mensa.
Dopo colazione siamo tornate a casa per un paio d’ore e poi ci siamo preparate per ritornare al Tempio, e alle ore 12.30 eravamo ancora a gambe incrociate nel Mandir ad aspettare Baba che è arrivato alle 13.50, ha fatto il Suo giro fra le donne e poi si è diretto verso gli uomini.
Sebbene abbia battuto il record a stare quattro ore e trenta la mattina a gambe incrociate, sono riuscita a stare ancora in quella posizione per tre ore il pomeriggio. Io stessa me ne sono meravigliata. Come ho fatto a resistere? Non ci sono mai riuscita, neanche per prova. Tanto era l’entusiasmo per quella splendida giornata di festa che ce l’ho fatta.
Il 29 luglio 2002 è stato un giorno molto bello perché abbiamo avuto l’occasione di andare a sederci, insieme al gruppo mensa italiano, sull’immenso altare dove solitamente sedevano le studentesse del College di Sai Baba. Abbiamo formato una fila di tutte le donne, a due a due, cioè spalla contro spalla e un’altra fila di uomini. Eravamo tutti emozionati. Non riuscivo neanche a guardarLo per l’emozione. Debora era alla mia destra e mi disse: “Mamma è qui e non Lo guardi neanche?” Ho risposto: “Debora non riesco”. Poi vidi che veniva verso di noi quindi mi sforzai e trattenni le lacrime per guardarLo. Quando arrivò scambiò qualche parola con Debora poi rivolse lo sguardo su di me e mi sorrise, così Gli potei dire di mio marito che era ammalato. Egli mi rispose, ma in inglese ed io non capii la risposta. Eravamo molto felici di aver potuto parlare qualche minuto con Baba; essendoci sempre moltissima gente, era molto difficile colloquiare con Lui. Presi poi il quaderno che avevo sempre con me e la penna e glieli porsi. Egli li prese e mi scrisse una dedica.
Le donne di dietro alle mie spalle, come videro che Egli scriveva sul mio quaderno, approfittarono per dargli anche loro foto, libri e quanto avevano a portata di mano. Intanto, visto che si avvicinò a me per prendere queste cose dalle donne di dietro, gli toccai il lembo della veste per due volte. La seconda volta, Egli si sporse di più e non volendo urtò la Sua caviglia contro la mia mano. Mi sentii doppiamente felice, perché ebbi l’occasione di toccare la Sua veste e di stare proprio ai Suoi piedi. Non si può immaginare la gioia che ho provato ad esserGli tanto vicino. Come facevo a non piangere di gioia? È incredibile come il Suo sguardo e il Suo sorriso abbiano una carica d’Amore inimmaginabile. Ci si sente avvolti nella Sua Energia preziosa.
Trascorremmo un soggiorno lieto e pieno di grandi emozioni, fra canti, preghiere, ascolto di discorsi ed eventi interessanti.
Dopo 21 giorni splendidi, trascorsi presso l’Ashram di Sai Baba, il 6 agosto 2002 siamo partite per l’Italia.
Ho la profonda fede e convinzione che Sai Baba non sia un uomo comune, ma un Avatar Divino dall’immenso potere e personificazione del Divino Amore. Guardo oltre la forma, e l’aspetto umano non conta per me. Sento di aver trovato il Signore per la seconda volta, prima in Spirito e poi in carne e ossa, sotto Forma e Nome di Sai Baba, come Uomo in India, come divin Consolatore, e come un amico. Sai Baba è stato criticato da alcuni per aver affermato di essere Dio. A ciò Egli risponde: “Alcuni fra voi citano le Mie parole e dicono che Io dichiaro di essere Dio, ma essi non terminano la citazione: Io dico che anche voi siete Dio! La sola differenza fra voi e Me è che Io ne ho la coscienza ma voi non l’avete ancora.” Infatti dice anche: “La Divinità che è presente in tutti nella forma di una piccola scintilla, è presente in Me come una fiamma. La Mia missione è quella di far sviluppare ogni piccola scintilla di Dio in voi fino alla pienezza di una fiamma divina”.
Mi ricordo che quando andai per la prima volta al Centro Sathya Sai vidi che nella sala per cantare e pregare, in fondo c’era come un altare, con vasi di fiori, candele e bastoncini d’incenso accesi, al lato destro c’era un quadro ad altezza d’uomo con la fotografia di Sai Baba. A dire il vero ebbi un tuffo al cuore. Abituata a vedere sull’altare un quadro o statua di Gesù, ora vedevo un Uomo al posto Suo; e tutta quella gente lo adorava come Dio, e io ero insieme a loro. Però, malgrado i dubbi che avevo, mi sentivo irresistibilmente attratta da Lui. Poi comprai un libro dei Suoi Discorsi e nel leggerlo cominciarono a sbiadire i miei dubbi ma non del tutto. Così mi venne un’idea. In tanti anni di meditazione ormai conoscevo la Beatitudine che solo Dio sa dare. Nel nostro mondo la Beatitudine non esiste, e le persone non possono dare Beatitudine. Mi dissi: devo meditare su Baba invece che su Dio. Voglio vedere se mi disturba e se quindi non riesco a sentire l’armonia di sempre. E allora provai. Ebbi la stessa Beatitudine. Non ci fu nessun disturbo. Anzi fui contenta che finalmente venne rimosso anche l’ultimo dubbio.
Al ritorno dall’India, inizialmente provavo una grande nostalgia del Maestro; volevo assolutamente ritornare da Lui al più presto, anzi desideravo trasferirmi lì.
Una sera pregai Dio di esaudire la mia preghiera, ma non avendo nessuna risposta, fui presa dallo sconforto e piansi così tanto da non riuscire a smettere. A questo punto sentii la voce di mia madre, un po’ seccata che mi disse: “E aspettaa!” Smisi subito di piangere dalla meraviglia di aver sentito mia madre ormai defunta da anni, e mi sentii rincuorata perciò mi addormentai.
Il mattino seguente ci pensavo ancora e così, guardando la foto di Baba che ho in cucina, Lo pregai e Gli dissi amichevolmente: “Puoi fare un favore ad una amica?” La risposta arrivò istantaneamente. “E tu, puoi fare un favore ad un Amico lasciandoLo stare?!”
A dire il vero rimasi molto male di quella risposta. Non me l’aspettavo. Pensavo piuttosto che mi avrebbe detto: va bene si vedrà. Mio marito, però, era ammalato e le sue condizioni di salute si aggravarono, pertanto abbandonai l’idea di tornare in India per dedicarmi completamente a lui. Una sera, però, dopo aver fatto la meditazione, in un periodo in cui mio marito sembrava stare meglio, mi tornò l’idea e dissi: “Baba ricorda però che io voglio venire là”. Stavo pensando di dedicarmi al volontariato nell’ospedale da Lui realizzato. E istantaneamente è arrivata la risposta: “Lavora nel tuo piccolo ospedale!”.
Spesse volte Baba dice: “Dovete trovarMi nel vostro cuore”. E poi dice anche che non possiamo fare sempre viaggi così lunghi per andarLo a trovare a Prasanthi Nilayam. Non dobbiamo attaccarci alla Sua Forma Fisica perciò dovremmo trovarLo nel nostro cuore. Per Grazia di Dio ci sono riuscita e questo mi ha dato gioia e tranquillità. TrovarLo nel cuore non è facilissimo. Divenire consapevole di Lui cercandoLo interiormente è ancor più difficile di fare un viaggio per andare da Lui, però volendo si può riuscire. Ringrazio Dio di avermi dato la possibilità di andare in India. Quale gioia più grande mi poteva capitare?
Dopo qualche tempo non soffrivo più la lontananza. Non sentivo più il forte desiderio di tornare in India a trovarLo. Mi sono detta che se fosse capitato di fare un altro viaggio, l’avrei fatto volentieri, altrimenti andava bene così.
[1] Eremitaggio, luogo di meditazione
[2] Seva è un termine di origine sanscrita che indica il servizio disinteressato
[3] Darshan significa visione del Divino
[4] Edizioni Babaji